La “Vicceria”: da storica tradizione a moderna idea di food business

L’iniziativa di Geppino Croce che lancia il “panaro contadino” del Cilento

di Andrea Bignardi

Da “sorella minore” della panificazione e “termometro” dei forni contadini a brand capace di diffondere in Italia e nel mondo il meglio dell’eccellenza cilentana. Potrebbe riassumersi così la storia del format “Vicceria”, ispirato “viccio” cilentano, pane preparato dalle massaie di un tempo che aveva un ruolo fondamentale: ovvero quello di segnalare che la cottura del pane poteva iniziare. Un’antichissima tradizione che l’intuizione imprenditoriale di Giuseppe Croce, originario di Bellosguardo, nel cuore più arcaico e profondo di questo territorio che definire meraviglioso sarebbe riduttivo, ha trasformato in un modello di business innovativo e, qualitativamente parlando, al tempo stesso profondamente radicato nel microcosmo cilentano e nelle sue eccellenze. Un segreto che è il fattore fondamentale di successo per il format della “Vicceria”.

Giuseppe, il viccio cilentano è figlio di una tradizione che affonda le sue radici nei secoli passati. Cos’era e come veniva originariamente impiegato?

“Fare il pane in casa era un’attività del tutto ordinaria per le massaie di allora, che alle prima luci dell’alba preparavano i migliori fasci di legno e accendevano il forno a legna. Prima dell’infornata, poi, per assicurarsi che il forno avesse raggiunto la temperatura ottimale per la cottura del pane, si testava la sua temperatura mettendo a cuocere un disco di pasta ricavato dall’impasto del pane. Su questa spianata di forma circolare, alta circa 2 centimetri, si imprimevano delle scalanature con un bastoncino e al centro veniva creato un buco, quasi fosse una ciambella. Una volta cotto questo disco veniva estratto dal forno, fatto raffreddare e tagliato per verificarne la buona riuscita della cottura, ed ilresponso positivo era il segno che l’infornata del pane poteva cominciare. Ovviamente, affinché nulla andasse sprecato, questa sorta di focaccia veniva poi consumata condita con sale e olio, oppure farcita con pochi e semplici ingredienti (formaggio, verdure, carne o pesce e condito con un filo di olio d’oliva) e consumata dai pescatori durante le loro lunghe uscite in mare”.

Il Covid 19 ha costretto te come tanti imprenditori del luogo a limitare i contatti sociali e le occasioni di incontro: un fattore fondamentale per chi lavora nel mondo del food che a volte può lasciare spiazzati e far cedere il passo allo sconforto, oppure far scegliere di ripartire dalle radici.

“Sono un giovane chef, titolare di Tenuta Nonna Luigi (Bellosguardo), in cui negli anni abbiamo sviluppato, insieme agli altri miei due soci, una forma di banchettistica alternativa, a km 0. Durante la pandemia mi è nata un’altra idea che è quella della “vicceria”. Mi è venuto in mente di attivare il delivery, farcendolo con varie ricette sia tipiche che rivisitate: broccoli e salsiccia, cicoria e patate con polvere di crusco, pancetta, più altri venti gusti legati alle ricette di un tempo. Con la cucina e la panificazione si può lavorare solo se si conosce bene la materia”.

Come si è sviluppata poi l’idea originaria?

“Ho dato vita ad un’aggregazione di piccoli produttori creando una rete e dando una visibilità completamente diversa rispetto a quella che vendevano loro. Dal fico bianco del cilento ai torroni ed alle caramelle dei nonni, tutte cose che in qualche modo comportano un ritorno anche al passato ma in una funzione diversa. Si è creata dunque una vera e propria competizione in senso positivo tra produttori che sono inseriti in un mercato e che si interfacciano con sempre maggior attenzione alla tracciabilità. Mia ultima intuizione è stata quella del “panaro contadino”, nata anch’essa in tempi di lockdown. Siamo tre soci e abbiamo deciso di mettere insieme – tra gli altri – l’olio di Marco Rizzo che ha avuto due riconoscimenti dal Gambero Rosso, il fagiolo di Controne di Michele Ferrante, lo sciuscillone teggianese di Pietro d’Elia, i vini campionati da alcune delle principali cantine cilentane (Maffiti, San Salvatore, De Conciliis, Tempere), i fichi bianchi di Antonio Nuvoli. Ampio spazio è stato poi conferito in questo interessante paniere, poi, anche all’artigianato locale e ad un ricettario del posto”.

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