di Giovanna Naddeo
Il diritto non deve farsi notare, bensì comprendere.
Muove da questo presupposto La responsabilità civile del medico: dall’oscurantismo al doppio positivismo (ed. BrunoLibri), la monografia uscita in libreria lo scorso maggio a firma del giovane e brillante giurista salernitano Remo Trezza.
Classe 1994, dopo la maturità scientifica conseguita al liceo “A. Genoino” di Cava de’ Tirreni, Trezza prosegue gli studi presso il dipartimento di scienze giuridiche dell’ateneo salernitano, laureandosi nel marzo 2018 dopo quattro anni e una sessione.
Da lì una rapida carriera in ascesa: prima la pratica forese, poi il dottorato di ricerca e il tirocinio giudiziario presso la Suprema Corte di Cassazione, insieme ad un’intensa attività di studio nel settore sanitario e delle nuove tecnologie applicate alla pubblica amministrazione.
Come nasce questa tua prima monografia?
«Partendo dalla mia tesi di laurea, ho deciso di sviluppare e articolare lo studio in merito alla responsabilità civile del medico prenatale. Il volume (con prefazione del professore Gaspare Dalia) ha visto la pubblicazione dopo oltre due anni di ricerche, approfondimenti e materiale che ho raccolto anche attraverso interviste presso il nosocomio avellinese. Al centro dell’indagine il passaggio dall’oscurantismo -preso in prestito dalla letteratura e immerso nel diritto –al doppio positivismo delle leggi Balduzzi e Gelli-Bianco».
Com’è sbocciata la tua passione per il diritto?
«Tutto nasce dal guardare il mondo attraverso le lenti del diritto, attribuendo a ciascun fenomeno una qualificazione giuridica. Ad esempio, già il semplice camminare è connessa alla libertà di circolazione garantita dalla carta costituzionale. Ciascuna condotta è giusta o sbagliata a seconda di quanto prescrive il dritto».
In queste settimane riflettori puntati sulla magistratura in seguito allo scandalo Csm. La tua opinione in merito?
«Svolgendo il tirocinio giudiziario presso la Suprema Corte di Cassazione (lì dove si respira l’aria pura del diritto), ho modo di ascoltare quotidianamente le disquisizioni dei più fini giuristi. Il problema di fondo è che la giurisdizione è fatta da uomini. All’università ci insegnano che il giudice deve essere terzo e imparziale, eppure siamo di fronte a un approccio stravolto rispetto a quanto scritto da Montesquieu nel 1748. Oggi assistiamo a un vero e proprio assottigliamento della separazione tra i poteri. Ad esempio, allo stato attuale un magistrato eletto in Parlamento si mette in aspettativa così da ritornare, al termine della legislatura, a svolgere il suo ruolo. E’ chiaro che quel magistrato ritornerà ad esercitare le sue funzioni non più in modo puro, bensì “macchiato” dal bagaglio culturale maturato tra i banchi del Parlamento».
Progetti futuri?
«A giorni uscirà sulla rivista The Legal Journal”un mio contributo sulla giustiziabilità dei diritti fondamentali tra corti interne e corti internazionali».