Festa della mamma 2023: essere madre nella società contemporanea, intervista alla psicoterapeuta Palo

di Mariarosaria Di Vece – “Madre è casa”, si è sempre detto, ma fino a che punto possiamo considerare ancora valido questo modo di dire? Il detto risale sicuramente a tempi lontani; se è vero che il cuore della mamma è il luogo dove i figli abiteranno per sempre, molto nella società contemporanea è cambiato, e le mamme non sono esclusivamente rilegate a questo ruolo di custode del focolare domestico, lavatrici e casalinghe a tempo pieno. Abbiamo incontrato Anna Palo, psicoterapeuta cognitivo – comportamentale, esperta in psicologia perinatale, vicepresidente dell ‘Associazione Mondo Famiglia a Giffoni Valle Piana, per discutere insieme sulla figura materna nel 2023. Oggi il ruolo della madre è molto cambiato. Quali sono le principali differenze rispetto alle mamme di un tempo? «É stato con la Rivoluzione femminista che ha preso avvio un processo attraverso il quale la madre è stata investita di più compiti; una donna e una lavoratrice, dunque, che oltre ad occuparsi della prole in termini di levatrice, ne contribuisce anche al sostentamento economico, abitando spesso un ambiente lavorativo che la spinge a conservare il proprio status di donna, occupandosi maggiormente di sé stessa e del proprio benessere fisico e mentale. Una madre che al centro della propria vita mette anche sé stessa, e non solo i porpri figli (come accadeva spesso in passato), non si annulla, non si trascura piú e riconosce l’importanza della propria persona e la necessità di prendersi cura di sé, soprattutto perché la società contemporanea non vuole madri scialbe e trasandate; infatti oggi implicitamente vengono fatte molte richieste sociali alla donna. Inoltre tra le mamme c’è un forte confronto sui social, che diventa fonte di frustrazione più che un confronto costruttivo. Una sorta di continuo paragone con un mondo irrealistico abitato da genitori perfetti e madri perfette, in forma, impegnate nel sociale, diligenti sul lavoro, amorevoli e autorevoli con i figli» Una mamma che lavora rispetto ad una mamma casalinga è “meno mamma”? «Spesso lo stare fuori casa e lasciare i figli a babysitter e nonni provoca un senso di colpa nelle mamme? Penso che non vi sia alcuna differenza tra una mamma che lavora e una mamma casalinga, perché anche quest’ultima ha un bel po’ da fare. “Non ci servono madri perfette ma sufficientemente buone” (Wincott). Non conta la quantità ma la qualità del tempo che trascorriamo con i nostri figli. È importante, anzi, che alla mamma venga concessa l’opportunità di potersi allontanare da casa e distaccarsi dai figli, in questo modo anche il bambino aumenta il proprio senso di sicurezza, attraverso la separazione dalla madre progressivamente acquisisce indipendenza andando a formare una propria identità personale. Inoltre consentire alla mamma di andare a lavoro permette al bambino di stabilire un attaccamento ad entrambi i genitori, che così riescono a ripartirsi i compiti e praticare la cogenitorialitá. I molti impegni e lo scarso tempo libero portano la mamma ad autocolpevolizzarsi, e ad avere la sensazione di non fare abbastanza e non essere abbastanza per i figli. Ció impedisce alla mamma di ritagliarsi del tempo libero, di fare qualcosa che le piace, di dedicarsi ad un hobby, che invece le consentirebbe di ricaricarsi e creare uno spazio mentale sano per i propri bambini. Il senso di colpa è intrinseco nella maternità, ma per quanto sia normale occorre rielaborarlo. Molto spesso mamme così insicure cercano di riempire il tempo che trascorrono con i bambini con numerose attività, dimenticando che è importante anche annoiarsi, per sperimentare l’arte della sorpresa. I cellulari distraggono molto le mamme (il genitore in generale) mentre si è in compagnia dei figli. Come commenti questa cattiva abitudine e quanto i bambini ne risentono? I bambini soffrono quando devono condividere l’attenzione degli adulti con uno smartphone; per loro è alienante che i genitori abbiano sempre il cellulare in mano, e il non ricevere risposte a delle richieste o stimoli provoca in loro un senso di insicurezza; infatti é stato dimostrato che i genitori siano meno sensibili alle esigenze dei loro figli quando sono distratti dal cellulare. Negli ultimi anni il rapporto bambini – cellulare è stato al centro di molte ricerche, ma bisogna analizzare anche questo fenomeno, definito phubbing, che vede protagonista i genitori, sempre con gli occhi puntati sullo schermo del cellulare. La tecnologia può essere sicuramente anche un aiuto, una escamotage per tenere i più piccoli buoni e tranquilli mentre si fanno delle commissioni, ma occorre fare attenzione e non permettere che si sviluppi nei bambini una dipendenza da cellulare; sarebbe utile limitarne e disciplinarne l’utilizzo, ad esempio negarlo durante i pasti o quando si è impegnati in una passeggiata all’area aperta. Ma è fondamentale che anche il genitore non ne abusi e rispetti tali regole, dando l’esempio. Serve che la mamma nella quotidiana vita familiare sia più connessa ai figli che al telefono. É stato dimostrato che ragazzi con genitori troppo incollati allo smartphone si siano sentiti più di una volta esclusi, ignorati, messi in secondo piano nel quadro familiare, più sentono che i genitori li ignorano a favore del telefono, meno si sentono coinvolti dalla vita familiare, e di conseguenza più difficile sarà trovare il modo per rafforzare il rapporto madre-figlio, ad esempio» Baby blues e depressione post partum sono fenomeni che hanno avuto un incremento negli ultimi anni? Se si perché? «In realtà sono fenomeni sempre esistiti ma negli ultimi anni se ne parla di più. Inoltre oggi le mamme sono più sole perché in passato potevano contare su una rete sociale più solida formata da zie, cugine e parenti che le aiutavano e le accompagnavano nelle cose quotidiane, compresa la gestione dei figli. Inoltre in Italia c’è ancora poco sostegno alle famiglie e alle mamme da parte della politica, e capita spesso che alcune donne si trovino a dover scegliere tra maternità e carriera. A tal proposito, si è concluso ieri gli Stati Generali della Natalità a Roma, l’evento finalizzato in particolare a individuare misure di contrasto al drastico e ormai costante calo demografico in atto nel nostro Paese» Ti ha colpito qualcosa del discorso della Premier Meloni e del Santo Padre? «I dati dicono che stiamo attraversando una forte crisi demografica dovuta in primis alla crisi economica. I giovani sono molto spaventati perché vedono dinanzi a sé un futuro incerto. Mettere al mondo un figlio sta diventando un gesto eroico, uno “sforzo titanico”, come lo ha definito Papa Francesco. In particolare mi ha colpito l’osservazione del Pontefice che dal palco degli Stati generali, ha sottolineato come la nascita dei figli sia “l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo. Se ne nascono pochi vuol dire che c’è poca speranza”. E questo non ha solo ricadute dal punto di vista economico e sociale, ma mina la fiducia nell’avvenire, e ha invitato la Premier a non lasciare da soli i giovani. Io aggiungerei che oltre alla speranza, manca il supporto e le condizioni che dovrebbero costituire un aiuto ai genitori, anche con l’ampliamento di nidi comunali, o centri di aggregazione di supporto alle famiglie. Spero nell’attuazione di misure che vengano incontro alle mamme, a tutte le mamme giovani che hanno avuto il coraggio di inseguire il sogno della maternità perché “le donne non sono libere se devono scegliere tra figli e lavoro”, come ha ricordato la Premier Giorgia Meloni« »

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