di Matteo Maiorano
Un uomo a cavallo di tre generazioni. La carriera di Angelo Scelzo si snoda attraverso la vita e le attività di tre papi i quali, attraverso il loro pontificato, hanno cambiato la storia della modernità. Negli anni della frequentazione della sala stampa vaticana è entrato in contatto con contesti e realtà diverse dalla vita urbana.
La sua carriera parte da Salerno: quali sono stati i punti focali che le hanno permesso di diventare l’unico laico a ricoprire il ruolo di sottosegretario al pontificio consiglio delle comunicazioni sociali?
«Ho avuto la prima esperienza giornalistica a Salerno con “Il Tempo”, che allora aveva una pagina dedicata alla città. Ho iniziato a scrivere come cronista sportivo. Ho conosciuto il presidente di “Avvenire”, Mario Agnes, a Pompei, il quale nel 1984 mi ha chiamato a lavorare per “L’Osservatore Romano”. Il contatto con questo tipo di ambienti mi ha aperto le porte del mondo vaticano. Durante il Giubileo del 2000 ho guidato l’ufficio stampa centrale. A maggio del medesimo anno il Papa mi ha chiamato a ricoprire l’incarico di sottosegretario alle comunicazioni sociali. Era sintomatico del successo avuto durante l’evento del giubileo».
Com’era la vita vaticana? Quali sono le particolarità del microstato?
«Dal punto di vista dell’approccio alla quotidianità, rispetto al mondo sociale urbano, è totalmente diverso rispetto a tutto il resto. E’ un’esperienza nuova. Il Vaticano è un piccolo mondo in cui si respirano la storia e l’universalità, nonostante le dimensioni ridotte del territorio».
Com’era il rapporto con i vescovi romani?
«Ho avuto la possibilità di seguire papa Giovanni Paolo II in quasi tutti i suoi viaggi. Con Wojtyla c’è stato un rapporto molto stretto: era un uomo alla mano e disponibile. Si interessava anche delle vicende personali di ognuno di noi, ci era sempre vicino. Mi parlava spesso della storia di Salerno, era affascinato dalla figura di Gregorio VII e di San Matteo. Salerno città, era solerte ricordare, “conserva le spoglie di un papa e di un apostolo, è una città importante sia dal punto di vista storico che culturale”. Nel maggio ’85 ci fu la sua prima visita a Salerno e, in seguito, mi ha ricordato il piacere che ha provato nel visitare la nostra città. Mi ha sempre parlato del panorama della costiera, poi sapeva anche della mia passione per i colori granata. Un giorno si incuriosì del fatto che chiedessi informazioni agli amici di Radio vaticana sull’andamento della partita della Salernitana, da allora iniziò a fare domande sui granata. «Forza Salernitana», mi ripeteva. Un segno di grande simpatia che Wojtyla aveva nei confronti della squadra di calcio. Gli feci ricevere la maglietta granata con il suo cognome ed il “numero uno” a corredo del completino».
Cosa c’era scritto nella lettera indirizzata a lei da parte di papa Francesco nel giorno del suo congedo?
«Mi ha ringraziato del servizio svolto e per avergli fatto dono di un libro realizzato sul Giubileo della Misericordia, evento fortemente voluto proprio da Bergoglio. Durante l’ultima udienza cui ho preso parte è sceso dalla vettura pontificia e, prima di salire sul palco, si è fermato in piazza e, abbracciandomi, mi ha ringraziato. Si era creato un bel clima tra di noi. Un abbraccio che vale più di mille parole».
Questo Papa, secondo lei che lo ha conosciuto da vicino, rappresenta una svolta dal punto del contatto con il mondo esterno?
«Ogni Papa mantiene una continuità di magistero, poi ogni uomo ha il proprio carattere, il proprio modo di porsi. Francesco è molto diverso da Benedetto XVI, ha un approccio diverso, è un papa pastorale, cerca il contatto con la gente. Ratzinger è un teologo, dava l’idea di studioso, ma non per questo era meno vicino alla folla. Giovanni Paolo II è stato il vescovo romano che ha aperto la chiesa al mondo, ha realizzato più concretamente l’opera del Concilio. C’è stata una vera e propria linea di continuità da Giovanni XXIII fino a oggi. Bergoglio è un papa figlio dei nostri giorni, rappresenta un tipo di chiesa in uscita, un papa tra la gente. Chi sta dentro il Vaticano lo percepisce ancora di più. Hanno cambiato la società e la storia di questi anni».
Oggi di cosa si occupa?
«Sono editorialista di “Avvenire”, ho scritto diversi libri, partecipo a convegni: il lavoro non manca. Vivo a Roma, a due passi dal Vaticano, ma torno spesso a Salerno».