di Matteo Maiorano
«Sentivo il bisogno di raccontare il quotidiano». Antonello Caporale tocca alcuni dei grandi temi della modernità: lavoro ed internet si intrecciano in una spirale che sembra apparentemente portare ad un vicolo cieco. Oggi caporedattore de “Il Fatto Quotidiano”, il saggista illustra com’è nata la sua passione per il giornalismo e in che direzione sta muovendo la professione. Sabato a Salerno la presentazione di “Matteo Salvini. Il ministro della paura”, l’ultimo lavoro del giornalista salernitano.
Come nasce la passione per il giornalismo?
«Mi piaceva leggere, sfogliare i giornali, scrivere. Chi fa il giornalista ama le storie, la quotidianità e sente il bisogno di raccontarle. Sono nato in un piccolo paese in provincia di Salerno ma la voglia di intraprendere la carriera di giornalista non mi è mai mancata. Ho studiato dapprima a Sorrento, poi mi sono spostato a Salerno, dove mi sono laureato. Dopo il titolo mi sono specializzato alla LUISS ed ho fatto un importante stage dapprima a “L’Unità” e poi presso “La Repubblica”, dove ho lavorato per 22 anni. Da sei anni sono caporedattore de “Il Fatto Quotidiano”».
Perché i giovani d’oggi, rivoluzionato il modo di fare informazione, soffrono l’approccio alla professione?
«Prima fare il giornalista rappresentava un qualcosa di inaccessibile. Oggi internet ci fa apparire tutto molto vicino, a portata di click ed il giornalismo regredisce ad un’attività dilettantistica. I giornali fanno fatica a realizzare profitti. Questa è una professione fuori dai tempi moderni, sembra quasi appartenere al Novecento. Internet ha ormai soppiantato la carta e rende inevitabilmente la professione difficile. In pochi leggono oggi. Si naviga, si lasciano commenti. Ma la capacità d’incidere si riduce e frantuma».
E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che il giornalismo stia vivendo una nuova fase.
«Quando internet terminerà questo ciclo espansivo. Ma è ancora troppo presto. Siamo in un’età rivoluzionaria, internet ruba molto del nostro tempo. Ha dato vita a molte professioni. Non sappiamo ancora come rispondere alla modernità. Siamo nel pieno di un periodo rivoluzionario: dire cosa succederà e come il lavoro del giornalista muterà è difficile. Ogni mese chiudono due edicole e sappiamo che i giornali si tengono in vita solo attraverso esse. Internet non produce la ricchezza minima necessaria a poter far sopravvivere i giornali. Siamo in un vicolo cieco, ricordiamo con malinconia il passato. Non dimentichiamo ovviamente l’importanza del web, perché la questione ha, tra i pro, il fatto che la comunicazione è diventata accessibile a tutti rapidamente».
Martedì la presentazione del suo ultimo libro: “Matteo Salvini. Il ministro della paura”.
«E’ un libro incentrato sulla figura del Ministro dell’Intero, il quale sulla paura ha creato il proprio consenso, il proprio elettorato, illustra i suoi proponimenti. E’ la paura del nuovo, del diverso, il timore nei confronti di un domani incerto. Qualunque tipo di concorrenza aggiunge paura e la sentiamo piena. Sul capro espiatorio Matteo Salvini ha prodotto una grande politica reazionaria e regressiva».