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Da Salerno a Roma: la storia del One-man-show salernitano

Di Davide Bottiglieri.

Risata contagiosa, talento eccezionale, Raffaele De Bartolomeis è un portatore sano di felicità. Di questo ne è consapevole, ed è per questo che dona il suo talento al prossimo scegliendo il palcoscenico.


– Attore, regista, presentatore, One-man-show. Perché e come mai hai deciso di indossare altre maschere oltre quelle dell’attore 
e chi è davvero Raffaele De Bartolomeis?

È una bella domanda. Chi sono è un mistero anche per me. Di certo sono una persona curiosa e ritengo che la curiosità sia la scintilla. La curiosità ti porta a metterti in gioco e a migliorare sempre. Sono partito con le imitazioni, poi mi sono dato al cabaret, al teatro, ho fatto il presentatore. Sono una persona che ama profondamente il proprio lavoro. Per fare quello che faccio ci vuole onestà e generosità, oltre che tanto coraggio. L’arma dell’ironia e della satira è fondamentale.

– Quando hai capito di essere innamorato del teatro?

Da subito. Dalle elementari, quando a sette-otto anni organizzavo la recita a scuola. Scrivevo scenette ai compagni. Posso dire che il mestiere mi ha scelto, un’autentica chiamata alle arti! Mi esibivo con i parenti, facevo le prime voci, le prime maschere, le prime facce: avevo capito immediatamente che sarebbe stato quello il mio mondo.


– Quali sono stati e quali sono gli artisti da cui hai tratto ispirazione?
Posso dire di attingere da due scuole eccezionali. Ovviamente quella campana, con Eduardo De Filippo e Totò. Ma anche quella romana, con Aldo Fabrizi, Gigi Proietti – maestro inarrivabile, e Aberto Sordi. Questo è un mestiere che va rubato: si ruba dai grandi!

– Il tuo trasferimento a Roma è stata un’imposizione artistica o ha altre motivazioni?

Il trasferimento a Roma è stato il coronamento di un sogno. Sono follemente innamorato di questa città, è stato un amore a prima vista. Roma è uno stato d’animo! Avevo otto anni quando l’ho vista per la prima volta e riesce a sorprendermi ancora ogni giorno. Avevo questo sogno: venire a Roma, vivere qui e portare la tradizione campana.

– Credi che Salerno abbia avuto , negli anni, un’evoluzione in termini artistici e culturali?

Per onestà devo dire che sono molto prevenuto. Amo Salerno per gli affetti, la famiglia, la formazione, i miei primi spettacoli, ma dal punto di vista artistico propone ancora poco in termini di qualità. I pochi grandi eventi sono gestiti sempre dalle stesse persone, non c’è un riciclo culturale/artistico. Il settore culturale è affidato alla cura di pochi. A Salerno si dà attenzione ad altre cose, si parla di tanto altro ma poco di cultura e arte. È uno dei motivi per cui sono andato via. Ho fatto tante cose belle a Salerno, ma sempre con grande difficoltà. Speriamo che le cose cambino.

– Quali possibilità ha ti ha dato Roma?

Roma è una grandissima vetrina. Ci sono possibilità che non si presentano altrove. In platea – e non solo – puoi incontrare giornalisti o artisti di altro tipo. Roma ti dà la possibilità di confrontarti con i maestri, è un ambiente stimolante, oltre al fatto che permette la nascita di tanti progetti.

– Come vive il teatro, Roma? Alcuni teatri romani hanno tristemente chiuso i battenti anche prima dell’emergenza covid. A cosa attribuisci questo epilogo?
Due anni e mezzo di pandemia sono stati difficili da digerire. Si dice che il teatro stia vivendo un periodo di crisi, ma credo che sia un settore in crisi da sempre. La digitalizzazione ha contribuito a un ulteriore allontanamento. Avere la possibilità di avere il film o lo spettacolo già in casa ha diseducato ulteriormente le persone ad andare a teatro. Il teatro così appare inaccessibile, ma è una casa aperta a tutti. Teatri meravigliosi hanno chiuso i battenti, ma è anche colpa della pessima gestione dei finanziamenti: ci sono teatri pubblici che offrono poca qualità, ma che ricevono sovvenzionamenti importanti, e teatri indipendenti e sperimentali lasciati a loro stessi.

– A tuo avviso, perché la professione di attore è ancora guardata con poca serietà, da chi non è del settore?

Questo capita anche ad attori navigati con cinquant’anni di esperienza. Si pensa ancora che fare l’attore sia un’attività hobbistica, senza sapere quanto sia duro, senza conoscere la precarietà intrinseca di questa professione che ti costringe alle montagne russe, ad avere un equilibrio, una centratura importante. Ci sono momenti in cui lavori tanto e periodi in cui il palco non lo vedi. Non è facile. Credo che il problema sia nell’inesistenza di una regolamentazione seria, che ci tratti da professionisti quali siamo. Quando poi senti frasi infelici da cariche dello Stato come Franceschini poi…

– Quali sono i format che hai proposto e che hanno avuto maggiore riscontro con il pubblico? Quali spettacoli ti vedono impegnato prossimamente?

Ho fatto tante rassegne teatrali, programmi televisivi etc. Se devo menzionare un format che mi ha dato tante soddisfazioni dico “Aria Condizionata”: un varietà tutto matto, un grande baraccone in cui c’era dentro di tutto, burlesque, musica, varietà, cabaret, con una squadra di quaranta artisti per quindici numeri diversi. Questa proposta doveva vivere per due sole serate e invece è andata avanti per due anni e mezzo!
I progetti sono tanti, dal 24 novembre stiamo portando “La fortuna con l’effe maiuscola “ di Eduardo De Filippo, poi sono impegnato in corsi di recitazione. Da gennaio ripartono altri spettacoli, tra cui Pronto So-comico, che regalerà tante risate a chi ci verrà a vedere!

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