Secondo quanto riporta l’ANSA
Le due riforme del centrodestra, premierato e autonomia, compiono un passo avanti verso l’approvazione, ma in un clima ad alta tensione, che culmina con una rissa alla Camera con un deputato pentastellato forse colpito da un leghista e portato fuori dall’Aula in carrozzina. Che i nervi siano a fior di pelle lo si capisce quando il deputato leghista Domenico Furgiuele fa il segno della X Mas rivolgendosi ai banchi delle opposizioni che ostentano il tricolore e cantano ‘Bella ciao’.
Un anticipazione di quanto poco dopo si scatenerà: il deputato Donno cerca infatti di consegnare un tricolore al ministro Calderoli subito ‘protetto’ dai compagni di partito. E immediata si scatena una maxi-rissa a fatica domata dai commessi. A farne le spese è lo stesso Leonardo Donno finito a terra e circondato anche da altri parlamentari della maggioranza. Uno scontro impressionante le cui immagini sono circolate sul web. “Non passerete, vergogna” ha detto Giuseppe Conte, mentre Alessandra Maiorino ha parlato di “violenza squadrista”.
Tornata la calma iniziano le accuse reciproche. Donno annuncia di stare bene dopo un elettrocardiogramma spiegando la dinamica: “ho preso un pugno che mi ha sfiorato la faccia dal deputato Iezzi, altri ci hanno provato come Mollicone, Candiani. Poi sono arrivati tanti altri, i commessi….io sono crollato, sentivo male al petto e facevo fatica a respirare”. Il leghista Iezzi invece smentisce ma non del tutto: “ho provato a dare cazzotti, ma non l’ho colpito. Donno ha tentato di aggredire Calderoli e ho reagito. Io mi allontano e lui dopo cade come una pera. Andrebbe condannata la sua sceneggiata”. La verità è ora all’esame del presidente della Camera Lorenzo Fontana: i filmati sono stati acquisiti e la seduta ovviamente sospesa. “Non è possibile riprendere i lavori in questo clima di crescente violenza verbale e addirittura fisica”, aveva infatti detto poco prima la segretaria del Pd Elly Schlein fuori dall’aula di Montecitorio subito richiamando alla memoria i pochi giorni passati dalla cerimonia per i cent’anni dall’omicidio di Matteotti.
Temperature alte anche in Senato. Palazzo Madama ha approvato il cuore del premierato, vale a dire l’articolo che introduce il principio dell’elezione diretta del premier, ed ha iniziato l’esame dell’altro pilastro della riforma, l’articolo che regola le crisi di governo. Un passo importante avvalorato dalla conferma che il testo sarà approvato il 18 giugno, in contemporanea al via libera alla Camera dell’altra riforma, l’autonomia differenziata. Un percorso parallelo che rinsalda il patto politico della maggioranza, ma che contribuisce anche a compattare tutte le opposizioni, che su entrambe le riforme hanno condotto con grande consonanza una battaglia, anche a suon di proteste plateali in Aula.
Le proteste che tutte le minoranze, da Avs a Iv e Azione, hanno inscenato in Senato sono avvenute quando la maggioranza ha approvato l’articolo 5 del ddl Casellati: i senatori d’opposizione hanno esposto cartelli che hanno condotto ad una sospensione della seduta. Al di là dell’ostilità al principio dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio, previsto dall’articolo, le proteste hanno riguardato il fatto che il testo non dice come tale elezione avverrà, visto che esso rinvia ad una successiva legge ordinaria. Tutti i gruppi di minoranza hanno ripetutamente chiesto alla ministra Maria Elisabetta Casellati di rassicurare su un punto, che occorrerà la maggioranza dei voti dei cittadini al candidato premier per essere eletto, in assenza della quale si ricorrerà al ballottaggio.
Nel pomeriggio, quando si esaminava il successivo articolo, Casellati è intervenuta attaccando le opposizioni con tono animato, ribadendo che la legge elettorale per il premier e per il Parlamento, sarà presentata dopo la prima lettura della riforma. “Avrei voluto discutere su una proposta alternativa che non c’è stata, e non avrei voluto discutere su numeri” dei molti emendamenti ostruzionistici. “Non accetto lezioni di democrazia da chicchessia su una legge che non prospetta nessuna deriva autoritaria”. Parole che hanno riacceso gli animi. Il cammino verso l’approvazione il 18 giugno è facilitato dal contingentamento dei tempi, con l’esaurimento di quelli a disposizione delle opposizione, anche se il presidente Ignazio La Russa ha concesso ad esse altre due ore. “Servirebbero semmai altre due settimane” ha obiettato Francesco Boccia, capogruppo del Pd, gruppo che ha esaurito il proprio tempo già nel pomeriggio.