di Donato Salzano*
Così un gesuita Ennio Pintacuda (altra cosa da quel Padre venuto dalla fine del mondo), fece della cultura del sospetto l’ideologia su cui si fondava la tragedia e la terribilità di quella cosiddetta “primavera palermitana” guidata da Leoluca Orlando Cascio e che poi ha prodotto negli anni quel clima da “professionisti dell’antimafia” in alcune fasi dei maxiprocessi fino a quello della “trattativa Stato/mafia”. Questa riemerge come fiume carsico ogni qual volta dalle viscere di quella gamba sinistra o destra del Regime da sempre socia a volte al governo ed altre volte alternativamente all’opposizione, ma soprattutto fiancheggiatrice nelle vicende para-giudiziarie o di processi indiziari, in un circo mediatico da “stampa®ime” che spesso predilige la violenta digitale ghigliottina a scapito della dovuta notizia.
Si sente parlare e richiedere sempre più insistentemente anche a Salerno di procedura d’accesso da parte di apposita commissione prefettizia nominata dal Ministero dell’Interno, anticamera appunto del commissariamento per condizionamento mafioso dell’ente. Molto spesso queste relazioni prefettizie in larga parte giustapposizioni di elementi, alcuni ipotetici, altri parziali, altri addirittura errati sono il trionfo della cultura del sospetto, nella totale assenza di contraddittorio. Scioglimento per motivi politici (oltre il 60% dal 2010 a oggi, fonte Openpolis), quando al Salone dei Marmi si attende ancora la proclamazione del Consiglio a quasi trenta giorni dal voto. Appare forzatura perlomeno anomala se non addirittura pericolosa scorciatoia per tentare di ribaltare l’esito delle urne, nell’ambito di procedure interdittive già dalla dubbia legittimità costituzionale.
Il non aver votato Enzo Napoli non deve poterci però esimere, nonostante la forma, i toni e i modi assolutamente violenti e illiberali avuti nei confronti degli avversari politici, di riconoscergli la vittoria a causa del pieno diritto al mandato ricevuto dagli elettori ad amministrare la Città. Spetta poi soltanto a lui decidere, nella sua solitudine senza condizionamenti esterni in virtù di tale mandato, se accettarlo e proseguire con la (sic!) Giunta “tecnica” oggettivamente dal corto respiro politico e temporale o rassegnare le dimissioni ed aprire così una crisi e con essa un nuovo scenario politico proiettato ad una Giunta di “transizione verso lo Statuto” (al voto nel maggio 2022) e di scopo per dare appunto piena attuazione dopo trent’anni alle previsioni di legalità statutaria e garantire quindi ai cittadini soprattutto la continuità dei servizi primari. A essa tutte le donne e gli uomini di buona volontà eletti in Consiglio non potranno che concedere fiducia a breve termine, tagliando fuori tanto i “buoni a nulla” uscenti da una parte quanto i “capaci di tutto” ma proprio di tutto entranti dall’altra.